Un sabato di novembre è passato a trovarci in redazione Shay Cullen. Il nome forse non vi dice niente. Shay -che compirà 70 anni a marzo- è un irlandese dal volto simpatico, e di mestiere fa il missionario.
Da oltre 40 anni vive nelle Filippine,dove nel 1974 ha contribuito a fondare Preda (People’s Recovery Empowerment Development Assistance), un’organizzazione non profit che si batte per la difesa dei diritti umani. Nella video intervista che ci ha concesso (la trovate sul nostro sito), ci ha spiegato il lavoro di Preda, che ha sede nella città di Olongapo.
Preda si occupa soprattutto della tutela dei diritti di donne e bambini, in un Paese dove la prostituzione -e in particolare quella infantile- è una piaga drammaticamente diffusa. Sul sito preda.org si possono vedere tutti i progetti e gli ambiti di intervento: lotta allo sfruttamento minorile e al turismo sessuale, servizio legale per i minori accusati di crimini, assistenza ai bambini di strada, ricerca, campagne di pressione sul governo e le autorità. Preda lavora anche con le popolazioni indigene e ha attivato dei progetti di commercio equo e solidale (l’ottimo mango essiccato viene importato in Italia da LiberoMondo).
Per l’impegno con Preda Shay è stato candidato per ben due volte al Nobel per la pace. Il suo sorriso e la sua simpatia sono contagiosi, anche quando parla delle minacce che negli anni lui e il suo staff hanno subito. Tra l’altro, nelle Filippine poco più di un anno fa è stato assassinato un altro missionario, padre Fausto Tentorio, ucciso con due colpi di pistola nell’ottobre 2011, probabilmente proprio per il suo lavoro a tutela degli indigeni, minacciati da società minerarie.
Il nostro giornale ha sempre mantenuto una rigorosa laicità, non astenendosi anzi dal denunciare gli interessi economici e la distorsione dei poteri legati alle autorità ecclesiastiche o a movimenti di ispirazione religiosa (come quando, a proposito di Comunione e Liberazione, pubblicammo la nostra inchiesta “Commistione e lottizzazione”, alcuni anni fa).
Ma non ci lascia indifferenti quanto molti religiosi, a vario titolo, si siano battuti e si battano tutti i giorni per la diffusione delle idee e delle pratiche di economia solidale, come il caso di Shay Cullen ci insegna. O meglio ancora, come l’economia solidale sia uno degli strumenti per proteggere la dignità umana, come indica il mandato evangelico.
È vero che anche la Chiesa “istituzionale” -nonostante tutte le “commistioni”, appunto- ha spesso, e almeno sulla carta, criticato con argomentazioni non banali il capitalismo e il liberismo. Possiamo tornare indietro fino al sacerdote cattolico Wihlhelm von Ketteler, che nel 1848 (appena prima della pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels) criticava la concezione dominante di “proprietà”, attaccando l’egoismo dei padroni e la loro indifferenza di fronte ai miseri, in particolare degli operai, e sostenendo che la proprietà prevede degli obblighi. Possiamo arrivare a San Francesco, o addirittura alle prime comunità cristiane. Più recenti, si possono citare l’enciclica di Ratzinger “Caritas in veritate”, o il documento del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, del 2011, che esorta a una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale. Non c’è lo spazio, né abbiamo la competenza per addentrarci in questo tema, anche se esortiamo i nostri lettori a intervenire.
Di certo c’è che la storia della nostra rivista è costellata di incontri con sacerdoti e gruppi di ispirazione religiosa che hanno portato avanti percorsi importanti nel segno della giustizia economica, opponendosi alla “religione” dell’economia e del capitalismo (e magari scontrandosi con le autorità ecclesiastiche per questo).
Pensiamo ad Ale Santoro alla Piagge di Firenze, a Gianni Fazzini dei Bilanci di giustizia, a don Andrea Gallo, ad Albino Bizzotto di Beati i costruttori di pace, a don Luigi Ciotti di Libera, ad Arturo Paoli, a don Giacomo Panizza, a Vinicio Albanesi, a don Sergio Pulselli, ad Adriano Sella, a padre Alex Zanotelli, al monastero del bene comune di Sezano, a Franco Bordignon in missione nel martoriato Congo.
E a tutti gli altri, che abbiamo dimenticato -ci perdoneranno- o che non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscere, ai quali va la nostra stima. —